Giacomo Cona spiega perché la città del futuro potrà trovare la sua via per il benessere solo attraverso un nuovo patto sociale, com’è già accaduto in passato.

Economia e società crescono insieme.

Questa è una delle frasi che più descrivono la nostra visione per la Verona del futuro. Ma è una frase che, in realtà, racconta anche la storia della nostra città. Una storia fatta di grandi scommesse vinte, come la creazione di una piccola università alla fine degli anni 50, oggi un’eccellenza per varie facoltà di studi, o come le numerose avventure imprenditoriali, fatte di lavoro e programmazione a lungo termine, che hanno arricchito Verona di realtà industriali, commerciali ed agricole ai primi posti in Europa. Come la creazione di quello che oggi è il primo interporto d’Italia, il quadrante Europa, o di una realtà fieristica che può vantare alcune tra le più importanti rassegne di settore a livello mondiale. Alcuni esempi, questi, di grandi passi in avanti che la nostra città, con i suoi abitanti, ha saputo fare, facendo crescere il proprio tessuto economico assieme alla propria realtà sociale.

Oggi, l’obiettivo deve essere ancora questo. Di fronte alla grande crisi economica che il Covid-19 ha portato con sé e di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, come la tutela ambientale e la sostenibilità, la digitalizzazione, la lotta alle diseguaglianze, la rigenerazione infrastrutturale ed urbana, il potenziamento della sanità e dell’istruzione, vogliamo ancora immaginare un futuro dove economia e società crescano insieme.

Partendo dalle persone e dalla formazione, possiamo immaginare una città che produce innovazione e servizi all’avanguardia, sfruttando la propria invidiabile posizione geografica che la rende porta d’Italia per l’Europa, e porta d’Europa per l’Italia.

Serve generare un circolo virtuoso di stretta connessione tra le fucine formative di Verona, le scuole superiori e l’università, ed il mondo del lavoro e dell’impresa. Un meccanismo dove venga creato fisicamente spazio per servizi e prodotti nuovi, figli della ricerca universitaria e delle capacità tecnico professionali che escono dagli istituti di formazione, un collegamento immediato tra le realtà imprenditoriali già presenti sul nostro territorio e le persone, soprattutto i giovani, vero valore aggiunto.

In un’ottica di riqualificazione e rigenerazione urbana, quale quella che l’amministrazione comunale sembra voler inseguire, da ultimo con l’adozione della variante 29 e l’ambizione di “cambiare volto” a Verona, è fondamentale stringere un legame solido tra l’iniziativa economica privata che inevitabilmente sarà necessaria per dare nuova vita a più di 3 milioni di metri quadrati di spazio ed il tessuto sociale cittadino.

Gli investimenti che verranno proposti dovranno essere guidati dalla regia di palazzo Barbieri per assicurare una crescita in termini di patrimonio comune, a disposizione dei veronesi, e di potenziale creativo e produttivo per la Verona che sarà. Senza questo, la semplice cessione degli spazi agli interessi privati (che sono legittimi), che non tenga conto del ritorno economico sociale per la comunità veronese pur di ricevere in cambio un aspetto ammodernato e restaurato di alcune porzioni di città, si rivelerà miope strategia propagandistica, rischiando, anzi, di diventare controproducente e di generare un disordinato puzzle di strutture alberghiere, commerciali o residenziali fini a sé stesse.

A questo proposito, vitale sarebbe una forte collaborazione con l’università al fine di individuare non solo le destinazioni d’uso alle quali vincolare gli spazi oggetto di riqualificazione, ma anche i soggetti privati interessati ad investire in quegli spazi e per quelle finalità.

Una collaborazione che porterebbe ad insistere, per alcune aree specifiche come, ad esempio, Basso Acquar, l’ex Galtarossa, l’ex Tiberghien, sulla costruzione di progetti in partnership pubblico-privata dove realizzare uno scambio tra investimenti e creazione di spazi di ricerca ed innovazione che possano attingere alle risorse umane e formative dell’ateneo veronese per immettere nuova linfa vitale nel mondo dell’impresa.

Lo stesso potrebbe essere fatto con i numerosi istituti tecnici e professionali della nostra città, bisognosi di spazi nuovi e di canali di inserimento e specializzazione nel mondo del lavoro.

O, ancora, il patto tra Comune ed investitori privati dovrebbe puntare alla generazione di nuovi quartieri lavorativi dedicati ai professionisti, agli autonomi, agli artigiani ed alle start-up, con la possibilità di ottenere spazi più accessibili in termini di costi d’affitto e di imposte comunali grazie all’intervento dell’Amministrazione.

Si potrebbero così creare vere e proprie cittadelle della ricerca, della formazione e del lavoro, poli di attrattività economica anche per chi, da fuori Verona, vedesse nella nostra città una grande opportunità di crescita.

Sostenere che economia e società crescono insieme significa guidare i processi di investimento e di creazione che avverranno nella nostra città, portandoli verso la generazione di un circolo virtuoso dove alla spesa economica corrisponda la creazione di un sempre maggior potenziale produttivo e quindi di un ritorno sotto forma di benessere pubblico, di profitto e di miglioramento dei servizi e delle infrastrutture della città.

La generazione di una ricchezza che possa essere nuovamente immessa nel territorio veronese per migliorare la vita dei suoi abitanti, l’esperienza dei suoi visitatori ed il futuro dei suoi figli.

Verona ed i veronesi hanno tutte le risorse e le capacità per farlo, e lo hanno già mostrato tanti anni fa.

Ora è il momento di dimostrarlo ancora.

Giacomo Cona