Nei giorni dell’emergenza Coronavirus si parla poco di istruzione, e perlopiù a sproposito. Mentre altrove si ragiona su come far ripartire la didattica, da noi il dibattito è tutto concentrato sul dare un “parcheggio” per i figli ai genitori lavoratori, senza alcuna cura per la formazione di bambini e ragazzi. Silvia Sartori propone una riflessione sul tema e un sondaggio che vi invitiamo a compilare.

L’emergenza pandemica ha colto tutti impreparati, ci siamo trovati nel mezzo di una bufera che nessuno avrebbe mai immaginato, che ha stravolto così tanto la quotidianità di tutti da rendere difficile ricordarci com’era la nostra vita tre mesi fa, figuriamoci ora la difficoltà di immaginare il futuro!

Tutto vero. Ma finita la tempesta, quali vogliamo che siano i riferimenti per orientarci in quello che potrebbe rivelarsi uno dei momenti più difficili per la storia del nostro paese? I livelli di questa riflessione sono così ampi e numerosi che formulare soluzioni affrettate sarebbe non solo improprio ma anche irresponsabile.

Nonostante questa difficoltà a trovare risposte, la natura delle domande che ci poniamo disegnano la nostra posizione, se al centro della nostra comunità oppure seduti al limite esterno, dimostrando di non avere né pensiero né strategia per il futuro. Il tema della scuola è rimasto ai margini della discussione per molte settimane. Che il problema stia per esplodere lo si capisce dalle chat dei genitori, dagli approfondimenti sui media, dalle analisi degli addetti ai lavori. Dai corridoi della politica molto meno.

A noi i problemi sembrano tanti. Il primo, il più importante, è quello che sembra mettere in discussione il diritto allo studio. La didattica a distanza (DAD) è stata l’unica soluzione possibile messa in campo in questa fase di emergenza. E’ una modalità che ha mancato, soprattutto per gli alunni più piccoli, e soprattutto in questa prima fase, l’obiettivo di raggiungere tutti, di essere inclusiva, democratica. Mai come in questa situazione chi era più fragile è stato lasciato indietro. E’ stato lasciato indietro chi non ha strumenti di connessione efficaci, chi non ha interesse per la scuola e lo studio, chi non ha famiglie in grado di affiancarlo, chi ha i genitori che lavorano. È stato lasciato indietro chi ha una disabilità.

Il secondo problema è antico, ma questa esperienza lo ha reso tangibile, evidente e drammaticamente reale. Dove sono i bambini e i ragazzi? Ovviamente l’emergenza a cui si è fatto fronte negli ultimi due mesi ha posto la salute pubblica di tutti (perché l’Italia almeno su questo, è culturalmente un grande Paese) al centro. La scuola si è organizzata come ha potuto, ma quali sono state le parole chiave della discussione pubblica? Didattica a distanza, piattaforme per la didattica, internet, orario dei docenti, contratto collettivo… E gli studenti? E le famiglie? Sulle parole chiave delle chat dei genitori meglio soprassedere, molte sono irripetibili. Anche se forse anche di quelle potremmo parlare, perché questa “cultura dei diritti che ogni tanto si dimenticano di qualcuno” alla fine un effetto ce l’ha: quello di creare un conflitto sempre più profondo tra categorie: genitori contro insegnanti e viceversa, insegnanti contro presidi, presidi contro genitori, tutti contro il ministro.

In questo mese quasi mai le mille riflessioni condotte a livello generale pongono al centro gli studenti, gli alunni. Ai genitori, che questa situazione la vedono e vivono dalla scrivania dei propri figli, non interessa proprio sapere se un insegnante lavora di più o di meno. Non interessa quale piattaforma userà o per quante ore al giorno. Alle famiglie interessa che ai propri figli non manchi la possibilità di vivere il loro mondo di relazioni, di sviluppare le competenze, la curiosità, la caparbietà, l’amore e la fiducia per la scuola e, ancora, il rispetto per le istituzioni.

C’è poi un ultimo (si fa per dire) problema. Il più esplosivo: la Fase 2. Tutti carichi come molle sui blocchi di partenza, mascherine nella mano destra, amuchina nella sinistra. Pronti a riconquistarci il nostro futuro radioso! Peccato che molti, da quei blocchi, non potranno partire perché dovranno stare a casa a fare divisioni con i propri figli. Peccato: che ancora una volta ci siamo dimenticati di qualcuno! Certo, lo sappiamo e lo ripetiamo, la situazione è complessa ma, la qualità di un pensiero politico sta anche nella sua capacità di pensare qualcosa di nuovo, immaginare soluzioni straordinarie, porsi le domande giuste, farsi ispirare anche da quello che fanno i nostri vicini di casa europei, se serve. Questo non sta avvenendo a nessun livello: né ministeriale, né comunale. Liquidare la questione come ha fatto la ministra Azzolina con “Buoni babysitter” e “Congedi”, se non fosse drammatico sarebbe ridicolo.

Le conseguenze di questa assenza di pensiero cadranno tutte sulle famiglie, che sembrano avere rilevanza politica solo quando si tratta di quelle tradizionali da difendere. Rischiano invece diventare uno spazio in cui i bambini contano poco o nulla, gli adolescenti si chiudono nelle loro stanze, in cui le donne sono costrette ad occuparsi solo dell’accudimento. Per loro non è previsto neanche, e semplicemente, uno spazio di ascolto. Si leverà la protesta: “Perché le donne? Non potrebbero stare a casa i papà?”. No, non potranno perché in Italia, oltre a una questione culturale, esiste un divario salariale tale per cui in quasi nessuna famiglia il papà guadagna meno della mamma. Quindi non esiste nessuna famiglia in cui sarà il padre a rinunciare al lavoro, neanche se si tratta di quel romantico mammo con grembiule e mani sporche di farina che il nostro immaginario semplificatore ogni tanto fa affiorare.

Traguardi vuole porsi queste domande perché crede che sia nelle risposte a questi interrogativi che possiamo trovare una rotta per costruire il nostro futuro, coltivando il cambiamento che questa emergenza ha portato nelle case di tutti.

Abbiamo anche pensato ad uno strumento semplice, che vorremmo arrivasse a tutte le famiglie della nostra città. È un questionario, un piccolo spazio di ascolto con il quale chiediamo di aiutarci a disegnare la città che vogliamo essere e i cui risultati, insieme a qualche proposta, ci impegniamo a far arrivare in Consiglio Comunale.

Silvia Sartori